Sabato 27 febbraio 2016 - Paolo D'Anna presenta LE RELIQUIE DI SARAJEVO

APERITIVO LETTERARIO
PAOLO D’ANNA
Presenta il libro
LE RELIQUIE DI SARAJEVO edizioni Studio 53
SABATO 27 FEBBRAIO 2016
ORE 17
in libreria LiberaMente – Oggiono (LC)
Appuntamento in Libreria LiberaMente per un toccante incontro con lo scrittore, poeta e drammaturgo Paolo D’Anna. L’occasione ci è data per la presentazione del libro LE RELIQUIE DI SARAJEVO. Attraverso la narrazione e la poesia, l'autore racconta uno dei conflitti più tragici della nostra storia, dando voce alla gente comune. Attraverso la poesia scorrono la vita, l'amore, la speranza, la morte e le tante storie che hanno come protagonisti Sarajevo, la sua storia ed i suoi abitanti.


Peccato. Una presentazione venuta male. Non per colpa dell'Autore, ma di un pubblico che non c'era.
Peccato. Si è persa un'occasione per utilizzare la poesia come arma d'amore contro le guerre.


A PAOLO
«Chi ha fatto il turno di notte per impedire l’arresto del cuore del mondo? Noi, i poeti». Diceva il poeta Izet Sarajlic.
Nell’assedio più lungo del 1900, nella Sarajevo degli anni Novanta, i cittadini andavano alle serate di poesia nel buio di una città senza corrente elettrica.
Sperimentavano che in una guerra solo i versi sono capaci di correggere a forza di sillabe miracolose il tempo sincopato dei singhiozzi, il ragtime delle granate, l’occhio di un mirino addosso. I versi portano la responsabilità della parola ammutolita.
I poeti facevano il turno di notte in Sarajevo per impedire l’arresto del cuore del mondo.
La biblioteca, manufatto magnifico dell’arte islamica in Europa, era in frantumi e in cenere. L’artiglieria degli assedianti centrava monumenti, cimiteri, moschee, per cancellare dal suolo ombra e radice della parte avversa. Le parole erano emigrate dai libri bombardati, giravano alla cieca le pagine invisibili, mentre dalle colline si accendevano le fiammelle degli spari dei cecchini. I poeti facevano il turno di notte.
In una notte di granate che esplodevano a casaccio sulla sua collina, scriveva con tutta la sua volontà di contraddizione della distruzione: «In una notte come questa, malgrado tutto, pensi a quante notti d’amore ti sono rimaste». Non ha saputo odiare, non ha saputo maledire neanche quelli che da un mirino di fucile tiravano al bersaglio di un bambino in strada. Ha voluto ribadire il verbo amare, che i suoi contemporanei, poeti e non, avevano pudore di battere a macchina.
Durante gli anni di assedio ha scritto II Libro Degli Addii. Salutava cosi gli amici partiti verso qualche esilio oppure accompagnati al cimitero di notte, perché di giorno i cortei funebri erano un bersaglio facile. Di notte si scavavano le fosse: «A Sarajevo siamo stati tutti becchini». In una poesia salutava una strada svuotata dalle granate, in un’altra salutava un tram che non passava più. In una guerra un poeta è una specie di Noè, fa salire sulla sua barca di carta un raccolto di persone e luoghi, li conserva al riparo dal diluvio e li fa sbarcare all’asciutto di un dopoguerra. «Io non vedo l’ora di poter tornare a scrivere per la seconda volta in vita mia le mie poesie di secondo dopoguerra». E ci è arrivato, allo sbarco nella terraferma della tregua. Aveva perduto però due sorelle in quella dannazione, rimasto figlio unico. «Ma io non posso non essere fratello», scriveva, pure a me, cercando intorno di applicare il suo bisogno di fraternità.
Non sono io che lo dico ma Erri de Luca e io dedico queste parole a Paolo. Credo che un poeta paghi i suoi versi con la vita svolta. In un poeta cerco, esigo che la sua vita sia all’altezza della sua pagina. Di uno scrittore in prosa me ne infischio se sia un cialtrone o un santo. Da un poeta invece non possono uscire buone righe se la sua esistenza non è stata strigliata al fiume da una spazzola di ferro.
«Chi ha fatto il turno di notte per impedire l’arresto del cuore del mondo ? Noi, i poeti».
A loro spetta di togliere alla morte il diritto all’ultima parola.

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