DOMENICA 8 Luglio-David M. TUROLDO all'Ospedale Manzoni di Lecco


BiblioHospitalis, Associazione di volontariato per lettura in ospedale
Azienda Ospedaliera, Provincia di Lecco
LiberaMente, Libreria Oggiono
 
invitano al 
"Caffè Letterario"
DOMENICA 8 Luglio 2012
ore 16:30
nella HALL dell'Ospedale Manzoni di Lecco
 
 Proiezione del DVD
“DAVID M. TUROLDO”  
biografia e poesie scelte da
Mauro Manzoni
lettura di
Maddalena Crippa
INTRODUCE
PIERFRANCO MASTALLI
del Comitato Lecchese Eventi Turoldo 2012
David M. Turoldo (sunto tratto da www.club.it )
Nacque nel 1916 a Coderno, in Friuli da famiglia poverissima e molto religiosa. Nel 1940 fu ordinato sacerdote entrando nell'Ordine religioso dei "Servi di Santa Maria". Soggiornò a Milano negli anni '40 fino a circa il 1953. Fu poi inviato, forse su pressione di esponenti della Curia Romana, all'estero dove il suo ordine religioso amministra diversi conventi. L'avvento di papa Giovanni XIII e il nuovo corso conciliare, favorì il suo ritorno in Italia, all'inizio degli anni '60. Si trasferì infine, dopo la morte di Giovanni XXIII, presso l’Abbazia di Sant’Egidio a Fontanella di Sotto il Monte Giovanni XXIII, che da quel momento ospitò i Serviti (attualmente ve ne sono 2).
Socialmente e politicamente impegnato, aderì alla resistenza con il gruppo de "L'uomo", per una "scelta dell'umano contro il disumano". Ma questo suo impegno durò per tutta la vita (anche se egli esplicitamente non aderì a nessun partito politico), convinto che la "Resistenza sia sempre attuale" e interpretando il comando evangelico "essere nel mondo senza essere del mondo" come un "essere nel sistema senza essere del sistema". Il suo impegno politico e sociale fu anche caratterizzato da una profonda umanità che lo portava non certo ad odiare ma a cercare un confronto di idee deciso e talvolta duro, ma sempre dialettico ("Credo di non avere dei nemici… posso avere avversari, questo sì"). Non di rado le sue prese di posizione crearono notevole imbarazzo e furono causa di scandalo in taluni ambienti cattolici. Ma anche la politica e l'impegno sociale non furono che ambiti, luoghi nel quale il poeta entrò senza mai soggiornarvi, cosciente del fatto che la sua vita era al servizio della Parola (e del Silenzio), in senso cristiano ma anche artistico, da poeta investito di una vocazione artistica. Scrive Andrea Zanzotto: "Turoldo ha percepito dunque da sempre la centralità della parola, … e l'ha percepita proprio come una delle sedi più alte in cui la parola (che cristianamente è il Verbo, "era ed è presso Dio") verifica se stessa e il mondo".
Le sue doti retoriche si esprimono in maniera straordinaria non solo nella sua opera letteraria, ma anche (per chi ebbe l'occasione di ascoltarlo) nelle sue omelie, negli innumerevoli discorsi che egli "predicatore" tenne in oltre 50 anni di attività, negli incontri con gruppi di ogni ambito culturale e sociale. Fu, tra l'altro, predicatore incaricato presso il duomo di Milano dal 1943 al 1953 Mi piace ricordare questo aspetto, perché rappresenta forse la testimonianza più forte del suo slancio, della sua intelligenza, della sua creatività e capacità nel porgere una parola vera, allusiva, profonda. Passione per l'uomo e passione per Dio, forse queste sono le note caratteristiche, anche della sua poesia. "Difficilmente, infatti - scrisse Giovanni Giudici - si potrebbe reperire negli annali un esempio di così perentoria, sorprendentemente trasgressiva, coincidenza e inscindibilità tra vita ed opera, tra vocazione alla parola e testimonianza della parola".
Turoldo è anche il poeta cristiano che più d'ogni altro nel nostro secolo esprime la passione per il contrasto, lo stare fermamente dentro la Chiesa ma nello stesso tempo starvi criticamente, senza mollare mai d'un millimetro a minacce e lusinghe, opponendo fermamente ad ogni luogo comune e ad ogni perbenismo bigotto, una dialettica controllata da una coscienza aliena da compromessi, ostile a qualsiasi tentativo di distrarlo dalla coerenza con i suoi principi morali e religiosi, dall'imperativo della sua coscienza. In questo senso, la sua poetica si differenzia nettamente per una sua peculiarità, all'interno di una coscienza critica del cristianesimo contemporaneo, che vede ad esempio in Testori una diversa espressione: quest'ultimo infatti è lacerato dal dubbio e visibilmente a disagio di fronte all'incongruenza fede / vita, Turoldo invece è rivoluzionario proprio perché si abbandona a una fede cieca senza mai oscillare, facendone l'arma della sua cultura. Egli (con altri, come Padre Balducci, Don Milani , Padre Dossetti, Don Primo Mazzolari, ecc.) è uno degli esponenti più rappresentativi di un rinnovamento del cristianesimo e assieme di un nuovo umanesimo sociale che esprime una autentica novità socio-religiosa, certo ancora troppo superficialmente intesa e studiata, della seconda metà del '900.
Dopo la prima stagione della predicazione a Milano, Turoldo dunque viene inviato all'estero. Il suo peregrinare termina infine nell'eremo di Sotto Il Monte, paese nativo di Giovanni XXIII, in cerca di silenzio, e mantenendo comunque stretti e continui contatti con gli amici.
Se si pensa alla particolarità della poesia di Turoldo come "genere", nel '900 letterario, il pensiero corre a Rebora, soprattutto al primo Rebora. Ma non tanto per le superficiali affinità che li accomunano (sacerdoti ambedue, dediti alla poesia di tema religioso, ambedue legati alla costruzione tradizionale della frase e del verso, senza particolari teorie estetiche movimentiste o di "scuola", ecc.). Ciò che li accomuna e che essi rappresentano in modo particolare è l'uso di un linguaggio altamente espressivo, denso di spigolosità, metafore e immagini che urlano dentro la coscienza del lettore con il proposito di scuoterlo, di porre la sua coscienza alle corde davanti alle domande scomode della vita. Anche come poeta che parla al lettore dunque, oltre che come uomo e religioso, Turoldo è un autore spigoloso, dialettico, scandaloso, che impone alla coscienza una dura lotta che reclama una scelta di campo, etica se non religiosa. Si potrebbe però anche dire che Turoldo, nel secolo delle incertezze, è il poeta di quella certezza che venga subito dopo il dubbio. E di una certezza che non trae consistenza dalla razionalità filosofica, ma dallo slancio poetico ad un amore assoluto, universale, per gli uomini, Dio, la natura. Non si può infatti eludere il dubbio filosofico, perché, com'egli spiega, "è difficile dire di credere: credere è un'autentica rivoluzione".
Fra i motivi ricorrenti della sua poesia è il sentimento della morte, in un tempo che fa di tutto per dimenticarla e fuggirla. La morte per Turoldo è "senso della vita e concretezza di tutto quello che ho cantato". La morte aiuta a vivere perché aiuta a misurare le cose, a ritrovare il senso della speranza - altro tema ricorrente: ("vorrei tramandare questo scandalo della speranza" dice, mentre è già minato da un tumore al pancreas).
A noi piace immaginare che Turoldo si sia scelto il nome "David" pensando a Re-poeta dei Salmi (il suo nome di battesimo è infatti Giuseppe, cambiato al momento di esprimere i voti religiosi e, come ci riferisce l'amico di sempre, Camillo De Piaz, in seminario i confratelli veneti lo chiamavano affettuosamente Bepo Rosso, per via dei capelli, allora fulvi). Scrive ancora Zanzotto "La formazione di Padre David in quanto poeta è evidentemente biblica, è anzi un continuo confronto con la Bibbia, un continuo richiamarsi ad essa, ai suoi temi, valori e personaggi … ma è fondata in generale su una buona conoscenza dei classici e dei moderni". Come fecero i profeti, si affida a Dio con una sicurezza istintiva, una intuizione così limpida da apparire ingenua, nel secolo dello smarrimento di tutte le certezze. Ritrova così la serenità del salmo, della laude, della cantica, proprio nel secolo delle grandi sperimentazioni formali e linguistiche delle avanguardie. Tutta la vita di Turoldo è una pro-vocazione, fino a quella morte così penosa: muore infatti di cancro il 6 febbraio del 1992. Il telegiornale di quel giorno ci fece ascoltare le ultime parole della sua ultima omelia che pronunciò smagrito e consumato dal suo male, e ripresa appena alcuni giorni prima di morire: furono parole di incitamento ad assistere le persone più bisognose, i malati, i poveri, gli oppressi di tutta la società. L'ultima parola pubblica che pronuncia è "cantare … portando il Cristo fra le braccia". E mi pare che questa sia la sintesi di tutta la sua vita di grande mistico, predicatore e poeta. Il suo linguaggio dunque è unico, come unica, testarda e passionale fino all'ossessione è la direzione della sua vita. Ogni suo scritto rimanda a un esame della relazione interpersonale fra Dio e l'uomo. Turoldo diventa quindi, anche nei suoi versi, salmista, predicatore, poeta, uomo infatuato dal divino, lucido teologo, mistico, appassionati difensore dei poveri, coscienza critica dell'ingiustizia e dell' "Epulone".
Il verso di questo poeta è pertanto, in prima istanza, popolare, perché semplice nel linguaggio, immediato nella metrica, breve nel fraseggio, denso di significati e simbolismi. Anche se talvolta sembri che la poesia venga usata solo come forma per esprimere concetti teologici, in realtà la carica di sentimento, di incontenibile passione per Dio e l'uomo e l'emozione con cui vengono usate le figure retoriche, lo salva ampiamente dal pericolo di "fare della teologia" o, peggio, "predicare" usando il linguaggio della poesia. Nel leggere Turoldo bisogna essere consapevoli di questo trabocchetto che è anche un luogo comune - che il linguaggio mistico e religioso sia per forza di cose antitetico alla poesia: in effetti è vero che non è facile scrivere poesie su argomenti religiosi, ma nel caso di Turoldo la religione si fa poesia e la poesia si fa religione in un unico, straordinario linguaggio.


Opere di poesia di D.M. Turoldo

Io non ho mani, Bompiani, 1948
Udii una voce, Mondadori, 1952
Gli occhi miei lo vedranno, Mondadori, 1955
Preghiere tra una guerra e l'altra, Milano, Corsia dei servi, 1955
Se tu non riappari, Mondadori, 1963
Tempo dello spirito, 1966
Fine dell'uomo?, Scheiwiller, 1976
Il sesto angelo, Mondadori, 1976
Laudario della vergine, Dahoniane, 1980
Lo scandalo della speranza, Gianfranco Angelico Benvenuto, 1978 (raccolta antologica)
Laudario della vergine, Dahoniane, 1980
Impossibile amarti impunemente, Quaderni del Monte, 1982
Ritorniamo ai giorni del rischio, CENS, 1985
Il grande Male, Mondadori, 1987
O gente terra disperata, Mondadori, 1987
Come possiamo cantarti, o madre? Diakonia della Theotokos, 1988
Nel segno del TauI, Scheiwiller, 1988
Cosa pensare, La Rosa Bianca, 1989
O sensi miei, Rizzoli, 1990, 1997 (raccolta antologica),
Canti ultimi, Garzanti, 1991
Mie notti con Qohelet, Garzanti, 1992

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